Vennero curati a Franja

L’ospedale, che ospitò soprattutto partigiani feriti o malati, non negò mai aiuto ai civili. In tutti i reparti dell’ospedale Franja furono ricoverati quasi 900 feriti provenienti da nazioni diverse; la maggior parte fu sistemata nel reparto centrale ubicato nella gola di Pasica (sezione B). Di lì, in molti furono poi ricoverati in reparti esterni dove era più facile accogliere feriti e malati.Tra i ricoverati a Franja solo il 6% erano donne. In base alla documentazione disponibile ci furono 83 morti.

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Storie dei feriti

Elenco dei feriti

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Le testimonianze delle persone che furono curate a Franja raccontano storie di sofferenza, collaborazione, coraggio e desiderio di libertà, che per i giovani allora significava tutto. Nel desiderare la libertà erano tutti uguali, non importava il loro stato sociale, né la loro nazionalità.

Chevalier, Jean Baptiste (Francia)

Adams, Harold C. (Stati Uniti)

Rappel, Vili

Blasigh, Rino ( Italia)

Likar, Franc – Rafael

Kavčič, Zdenka

Grosar, Marjan Justin

Kraigher, Živa

Bilić, Salih (Bosnia e Herzegovina)

Kolenc, Janez

Toplikar, Mirko

Fon, Slavko – Andrej

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Chevalier, Jean Baptiste (Francia)

Internato, soldato delle brigate di Vojko e di Gradnik.

Jean Chevalier Baptiste collaborava con il movimento di resistenza nel suo paese, la Savoia francese. Insieme ai suoi colleghi fu deportato dai tedeschi, prima al campo di concentramento di Dachau e da lì a Mauthausen e Loiblpass, dove i prigionieri lavoravano agli scavi del tunnel delle Caravanche. Jean riuscì a scappare e si unì ai partigiani, motivato dal desiderio di liberare i suoi colleghi e di vendicare tutto il male causato loro dai nazisti. Nella battaglia del 20 novembre 1944 a Železniki si ferì una gamba in seguito all’esplosione di una mina. Lo portarono a Franja, dove il giorno dopo fu operato dal Dott. Derganc. Dovette essere una sorpresa piacevole per lui quella di poter parlare col medico nella sua lingua materna: il Dott. Derganc aveva infatti vissuto un paio d’anni in Francia prima della guerra. Il ventitreenne francese rimase nel reparto centrale dell’ospedale per un mese intero. Di lì fu trasportato nel reparto A sotto Cerkljanski vrh. Dopo essersi ristabilito fu assegnato al battaglione lavoratori, poi al battaglione russo, e infine al commando di Idrija, dove rimase fino al suo ritorno in Francia il 5 luglio del 1945.

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Adams, Harold C. (Stati Uniti)

Pilota alleato

Il tenente Harold C. Adams fu un pilota militare statunitense. Il 25 febbraio del 1944 stava volando con una squadra di 36 bombardieri, detti “liberatori”, dall’Italia meridionale verso la Germania. Sopra Fiume furono attaccati dagli aerei tedeschi. I tedeschi colpirono due aerei, e un paio di aviatori riuscirono a salvarsi lanciandosi col paracadute. Tra di loro c’era anche Adams, che atterrò sulla pianura di Šentviška gora, rompendosi però una gamba nell’impatto con il suolo. I partigiani lo trovarono quasi subito, e gli sistemarono la gamba fratturata. Nella stessa notte fu trasportato con un carro trainato da buoi nell’ospedale partigiano: il gruppo arrivò dopo quattordici ore di cammino attraverso i sentieri di montagna. In base a quanto riportato negli archivi e dalle testimonianze, Adams arrivò all’ospedale il 25 febbraio 1944. Vi rimase fino all’attacco del 24 aprile, quando si rese necessario evacuare l’intera struttura ospedaliera. Adams ricordò così l’evacuazione: “Un infermiere partigiano mi portò in spalla, dovette attraversare un torrente per due volte, scivolò ed entrambi cademmo nell’acqua. Finalmente raggiungemmo una strada dove ci aspettavano i carri.”

Alcune settimane dopo che il suo aereo era stato abbattuto, i suoi cari ricevettero la notizia che Adams era stato salvato. Sua moglie ricevette solo a giugno la lettera che Adams aveva scritto il 10 marzo del 1944.

Rimase nel reparto di Franja a Davča fino all’agosto del 1944, giorno in cui fu evacuato nella Carniola interna insieme agli altri feriti dell’Alta Carniola e del Litorale sloveno. Il 30 agosto volò dall’aeroporto partigiano di Nadlesk a Bari, e da lì tornò negli Stati Uniti.

Harold Adams era uno dei più di trecento piloti alleati salvati dai partigiani sloveni. Rimase in contatto con le persone che lo salvarono anche dopo la guerra: suo figlio lo aiutò a tenere salda l’amicizia con Danilo Šuligoj, un infermiere di Bovec che lavorava a Franja durante la guerra. La sua storia è stata pubblicata molte volte su svariate riviste e libri, e diventò ancora più famosa nel momento in cui suo figlio Cory, visitando la Slovenia, conobbe la sua futura moglie.

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Rappel, Vili

Corriere partigiano

Vili Rappl era originario di Gabrovka presso Litija. Nacque in una famiglia contadina ed era il più giovane di otto figli. Era alto e coraggioso, e volle seguire l’esempio dei fratelli maggiori: così, nemmeno quindicenne, partì anche lui per unirsi ai partigiani. Gli piaceva provocare le pattuglie tedesche in groppa al suo cavallo bianco. Fu accidentalmente ferito a Gornja Trebuša in seguito all’esplosione di una mina. Il 10 gennaio 1944, giorno successivo all’incidente, fu portato nell’ospedale Franja, ma morì sotto i ferri a causa di un’emorragia interna. A operarlo fu il Dott. Franci Derganc, medico della squadra di chirurgia del IX corpo, sempre presente nell’ospedale Pavla o Franja quando non prendeva parte alle operazioni militari.

Vili fu sepolto nel cimitero dell’ospedale insieme a una bottiglietta nella quale inserirono un foglio con i suoi dati personali. Il suo corpo è rimasto sottoterra fino al 2012, anno in cui fu scoperta la sua tomba per puro caso. Vili è stato uno dei cinquanta corpi sepolti nel cimitero dell’ospedale. La maggior parte dei defunti fu riesumata dopo la guerra dai loro familiari, altri furono trasportati nella fossa comune del cimitero di Cerkno. Molto probabilmente la sua tomba non fu trovata subito, eppure non venne dimenticato, dato che il suo nome era scolpito su una lapide commemorativa che elenca i morti e i sepolti nell’ex cimitero di Franja, scoperta il 3 novembre 1946. Dopo aver scoperto la tomba, i suoi resti furono spostati nella fossa comune nel cimitero di Cerkno.

La storia di Vili è la storia di un ragazzo giovane che sognava libertà. Come migliaia di altri giovani, che abbandonarono le loro case confortevoli in nome della libertà, il valore più importante per il quale valeva la pena lottare con tutte le forze.

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Blasigh, Rino ( Italia)

Partigiano italiano

Rino nacque nel 1924 a Marano Lagunare, un paese del litorale friulano che poi lasciò per trasferirsi con la famiglia a Cividale. Subito dopo la capitolazione italiana, l’8 settembre del 1943, si unì al movimento della resistenza italiana. Il comandante del battaglione Minussi combatteva sotto la divisione Garibaldi Natisone. Questi faceva parte dell’esercito di liberazione nazionale e dei distaccamenti partigiani della Jugoslavia, e combatteva anche nella regione dell’Idrijsko-Cerkljansko. Rino fu ferito in una battaglia contro i tedeschi il 17 marzo 1945 a Vojsko. Lo portarono all’ospedale partigiano Franja, ma non riuscirono a salvarlo. Morì il 23 aprile 1945. Fu sepolto nel cimitero dell’ospedale. I suoi compagni d’armi lo stimavano molto, aveva sempre parole confortanti e incoraggianti per tutti. Come si poté leggere nello scritto commemorativo del novembre 1945, morì a un passo dalla libertà che tanto sognava e per la quale era disposto a morire. Per il suo coraggio ricevette la medaglia d’argento al valore dalla Repubblica italiana.

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Likar, Franc – Rafael

Combattente della brigata Gradnik

Franc Likar di Kanomlje sopra Idria fu arruolato nell’esercito italiano nel giugno del 1942. Uno sconosciuto lo convinse a unirsi ai partigiani mentre viaggiava verso Udine in treno: Franc diventò uno dei combattenti della brigata Gradnik. Verso la fine del 1943 fu mandato alla scuola del partito comunista. Questa doveva spostarsi spesso, e alla fine si stabilì a Cerkno: lì, il 27 gennaio 1944, successe una tragedia. Nell’attacco del contingente tedesco di Heine morirono 48 persone. Franc fu uno dei fortunati superstiti: come sia riuscito a sopravvivere ha del miracoloso. Durante il corso soggiornava nella trattoria Pri Jušku a Cerkno. Il giorno dell’attacco guardò fuori dalla finestra e notò l’esercito tedesco, per cui decise di scappare verso Novaki. Ma la strada per Novaki era già sorvegliata dai tedeschi e non poté fare niente altro che fuggire verso Brce attraverso un ripido pendio che si innalzava proprio sopra Novaki. Durante la fuga incontrò la compagna di studi Milojka Štrukelj che era stata ferita e che, come lui, attendeva che la strada fosse libera. Prima di poterla aiutare, fu attaccato e ferito a sua volta. Cadde per terra e rimase immobile. Sentì i soldati tedeschi avvicinarsi sparando dei colpi verso i partigiani sdraiati per terra: quando furono più vicini, trattenne il respiro per non farsi sentire. In quel momento, un colpo di mortaio partigiano sparato dal colle sulla parte opposta della valle ruppe il silenzio. I tedeschi indietreggiarono ma spararono comunque quattro colpi in direzione di Franc. “Quanto coraggio doveva avere il ragazzo diciannovenne per non muoversi nemmeno di un millimetro pur sentendo il calpestio degli stivali tedeschi diventare più forte, lo scricchiolio delle armi, sopportando il dolore dei proiettili piantati nel suo corpo”, scrisse la Dott.ssa Franja nelle sue memorie. Quando il battaglione lasciò Cerkno, Franc, gravemente ferito, si nascose sotto un fienile. La gente del posto lo trovò seguendo le tracce di sangue sulla neve. Il giorno dopo fu trasportato all’ospedale insieme ai suoi dodici compagni d’armi. Per fortuna, nessuna delle ferite era mortale, e dopo un paio di mesi poté lasciare l’ospedale. I feriti e il personale medico ne ammirarono il coraggio.

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Kavčič, Zdenka

Madre partigiana

Per tutta la durata del conflitto, soprattutto durante l’offensiva nella regione di Cerkno, nell’ospedale trovarono rifugio anche donne incinte o che avevano appena partorito. Una di loro, Mira Mihelin – Nataša, partorì una figlia in ospedale e ci rimase fino alla fine della guerra, aiutando il personale medico in vari modi. La vita per le madri partigiane non era facile poiché il personale medico non riteneva che un istituto militare fosse il posto giusto per loro.

Anche la figlia di Zdenka e Niko Kavčič nacque durante la guerra. Della nascita raccontò Zdenka stessa durante l’inaugurazione dell’ospedale Franja restaurato nel maggio del 2010. Zdenka Zika, nome partigiano di battaglia “Daša”, di nazione ceca, si trasferì in Slovenia insieme ai suoi genitori negli anni Venti. Suo padre Josip Zika, maestro di tessitura, trovò lavoro nell’Alta Carniola. Per evitare l’arresto da parte della Gestapo, Zdenka e le sue amiche si unirono ai partigiani. L’arresto era la diretta conseguenza anche solo per aver portato dei fiori sulla tomba di un partigiano. A Davča, dove c’era la sede del servizio informazioni per l’Alta Carniola, conobbe Niko Kavčič. Si sposarono nel settembre del 1944, ma poterono vivere insieme solo alla fine della guerra: l’unico legame fra loro furono le lettere che si scrivevano. Durante l’offensiva a Železniki, Zdenka, che era già avanti con la gravidanza, dovette spostarsi verso Črni vrh sopra Cerkno. Si trovava sotto Blegoš quando ebbe le prime contrazioni. Con l’aiuto di alcuni combattenti riuscì ad arrivare fino alla fattoria Pri Tomažu, di proprietà di France Mezek, a Gorenji Novaki. Alle sette di sera partorì una figlia, Daša. Il giorno dopo, il 23 marzo 1945, fu trasportata nell’ospedale Franja. Ma non vi rimasero a lungo: durante un’offensiva si dovettero spostare tutti nei bunker, anche le mamme con i neonati. Dopo 16 giorni, Zdenka capì che doveva lasciare la gola per dare alla figlia la possibilità di sopravvivere. Nel certificato di rilascio, sottoscritto dalla Dott.ssa Franja l’8 aprile 1945, c’è scritto che “la madre sta lasciando l’ospedale di propria volontà per ottenere cure private”. Pare che la Dott.ssa le disse che sua figlia sarebbe morta senza latte. Così mise la piccola in uno zaino, e passando per le case incendiate riuscì a raggiungere Zali Log. Trovò rifugio nella stessa casa dove si era nascosta con Niko alcuni mesi prima. Non appena si fu sistemata, il marito varcò la soglia. Nessuno dei due si aspettava quell’incontro. Purtroppo non poterono rimanere insieme a lungo: si rincontrarono solo a guerra finita. Quando il padre di Zdenka poté finalmente abbracciare la figlia e la nipotina, commosso disse: “Due sono partite, due sono tornate!” La sorella di Zdenka non tornò mai dall’esperienza con i partigiani: cadde il 27 gennaio 1944 durante l’attacco alla scuola di partito a Cerkno.

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Grosar, Marjan Justin

Combattente della brigata di Kosovel

Marjan Justin Gosar di San Pietro di Gorizia fu arruolato nell’esercito tedesco nel marzo 1944: aveva appena diciassette anni. I tedeschi lo reclutarono mentre stava per unirsi ai partigiani. Assieme a un altro gruppo di ragazzi, si trovò a dover compiere una scelta: diventare soldati delle truppe tedesche o essere deportati in un campo di concentramento in Germania. Calcolando che entrando a far parte dell’esercito tedesco avrebbero avuto la possibilità di scappare e unirsi ai partigiani, scelsero di arruolarsi. Dopo cinque mesi, Marjan riuscì a fuggire e a raggiungere i partigiani della brigata Kosovel. Fu ferito durante l’offensiva di Trnovo a inizio novembre. Un frammento di granata gli ferì le gambe, lesionandogliene una in modo grave. Fu condotto all’ospedale Pavla dove riuscirono a salvargli la gamba: l’amputazione non fu necessaria, ma restò zoppo per tutta la vita. Rimase a Pavla fino al marzo del 1945, anno in cui fu trasferito a Franja, in un nuovo reparto creato per le persone disabili insieme agli altri soldati ormai inabili al combattimento. Furono portati fino a Trebuša in spalla, lì li aspettava un autobus che li portò fino alla trattoria a Log, vicina all’ospedale. Mirko Rakušček, un membro del personale medico, se lo caricò in spalla con gli occhi bendati. Per Mirko non fu pesante: in quel momento Marjan non pesava più di 35 chili. L’ospedale Franja gli sembrò un mondo completamente alieno, magico, con l’elettricità e l’acqua corrente. Nel reparto per i disabili s’imparava a cantare, a suonare la fisarmonica e la chitarra, e la dattilografia. Marjan vide una macchina da scrivere per la prima volta in vita sua, una vecchia Remington: la riabilitazione professionale per invalidi era nella sua fase embrionale. Il 1° maggio, quattro giorni prima della fine della guerra, fu organizzata una rappresentazione nella quale i degenti recitarono e cantarono. Queste attività aiutavano i malati a mantenere alto lo spirito. Saltuariamente fu concesso loro qualche vizio: “In occasione della Pasqua, Franja portò a ognuno una sigaretta. Era schiacciata, della vecchia Jugoslavia, ed era fatta di tabacco aromatico. Il compagno Pagon la fumò per due giorni. Tirò due volte senza espirare il fumo, lo ingoiò, e dopo spense la sigaretta. Voleva che durasse. Il tabacco alleviava i dolori e anche la fame”, raccontò il vecchio partigiano.

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Kraigher, Živa

Attivista giovanile

Živa Kraigher nacque a Lubiana, nella facoltosa famiglia Kraigher: i suoi genitori erano attivisti del movimento di liberazione nazionale. Già molto giovane inizio a ballare e la sua insegnante di danza fu Meta Vidmar. Da studentessa prese parte alla vita politica universitaria di Lubiana. Nell’estate del 1942 fu la segretaria del comitato distrettuale del SKOJ (organizzazione giovanile del partito comunista), responsabile per le riunioni giovanili nella Lubiana occupata. Le autorità vennero a sapere delle sue attività e conseguentemente fu costretta a nascondersi. In seguito fu attivista del comitato distrettuale nazionale sloveno e aiutante nella tipografia del partito comunista. Nell’autunno del 1943, dopo la capitolazione italiana, si trasferì nel Litorale sloveno dove aiutò l’autorità popolare a ristabilirsi, soprattutto nelle regioni di San Pietro del Carso e Brkini, nell’Istria Slovenia, nel Goriziano e in Veneto. Nelle sue memorie si legge:”(…) vivevo con la gente del Litorale sloveno, mi sono integrata, ho lottato con loro per la liberazione e l’annessione del Litorale sloveno alla Slovenia. Questo era il senso della mia vita.” Nel 1944 venne ricoverata a Franja a causa di granulomi di grave entità.

Dopo la guerra riprese a ballare: la danza era la sua passione. Ha fatto tesoro della sua esperienza militare: nel 1953 si esibì in un balletto intitolato “Upor” (Resistenza). Con la danza elogiava la tenacia di tutto il popolo sloveno unito nel raggiungimento di un unico obiettivo: liberarsi. In seguito si dedicò all’insegnamento di danza e coreografia, partecipò a corsi di formazione all’estero e fu fra i propugnatori dello Studio per la danza libera. Oggi è considerata una delle fondatrici della danza contemporanea slovena. Scrisse molti saggi sulla danza. Dopo la sua morte fu pubblicato il suo libro incentrato sulla dimensione della danza: Ko se zgodi ples – Zapisi, dokumenti, spomini (2017).

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Bilić, Salih (Bosnia e Herzegovina)

Combattente della brigata Prešeren

Salih veniva da Zenica, una città della Bosnia ed Erzegovina. Nel 1942 fu arruolato nell’esercito italiano, ma riuscì a scappare. In Slovenia si unì ai partigiani e diventò combattente nella brigata Prešeren. Durante l’attacco al bunker di Gorenja vas del dicembre 1944 si fratturò la gamba destra. Rimase ricoverato a Franja per tre mesi. La conseguenza della frattura fu una gamba più corta dell’altra, così, una volta dimesso, fu mandato al commando di Cerkno. Il suo fu un triste destino: a guerra finita, al suo ritorno a casa, nessuno credette che fosse diventato un partigiano. Lo accusarono di aver simpatizzato con i cetnici e lui non riuscì mai a provare il contrario. Fu insultato in una trattoria e la lite si trasformò in una rissa. Per difenderlo, il fratello prese il coltello e uccise un uomo. Furono entrambi condannati: Salih a quattro e il fratello a nove anni di prigione. Entrambi scontarono l’intera pena. Di nuovo in libertà, Salih si dedicò alla coltivazione della terra. Il sentimento di sopruso e ingiustizia si mescolò al senso di colpa e si chiuse in sé stesso. Negli anni Settanta vide in TV un programma che raccontava dell’ospedale partigiano Franja: stava parlando la Dott.ssa Franja in persona. Decise di andare a trovarla e di chiederle aiuto. Così, un giorno, lui e il fratello bussarono alla sua porta. Franja lo ascoltò e lo aiutò a ricevere il tanto atteso e meritato riconoscimento per il suo contributo alla causa. Negli anni che seguirono, Salih continuò a frequentare i raduni dei combattenti della brigata Prešeren, e mantenne vivi i contatti con Franja.

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Kolenc, Janez

Combattenti minorenni

Nell’autunno del 1944 a Franja furono portati due partigiani molto giovani: avevano entrambi diciassette anni, ed entrambi erano feriti alla spina dorsale. Nessuno di loro sentiva più le gambe. Furono sistemati nel reparto di isolamento. Gli furono cambiate le bende ogni giorno. Nonostante le ferite gravi, non persero il buonumore. La loro camera era sempre piena di sorrisi e parole incoraggianti e l’operatore culturale Čriček dedicò loro una canzone, pubblicata sul giornale Bolniški list. Durante l’offensiva del marzo del 1945, il personale medico trasferì tutti i feriti nei rifugi segreti. Durante l’attacco, i due disabili ebbero paura che il personale medico si fosse dimenticato di loro: Janezek iniziò a piangere. Aveva un carattere molto gentile e tutti quelli che lo incontravano provavano molta pena per lui. Alla fine vennero trasferiti anche loro e condotti al rifugio sopra le baracche nella parte destra del torrente. Il Dott. Derganc scrisse: “non ho mai visto uno sguardo più grato di quello che Janezek rivolse ai suoi compagni quando lo trasferirono nella grotta posta in alto alla parete del rifugio.” Entrambi rimasero nell’ospedale fino al 5 maggio 1945, quando furono trasportati a Gorizia insieme agli altri feriti. I feriti però non riuscirono mai ad abituarsi al nuovo sterile ospedale. Un giorno, la Dott.ssa Franja trovò Mirko e Janezek in lacrime. Janezek le chiese di riportarli alla gola poiché in quell’ospedale non sarebbero sopravvissuti. Un paio di giorni dopo, Janezek cessò di vivere sul serio e la sua morte fu un duro colpo per tutti. Dopo la guerra, Mirko dovette subire molti interventi chirurgici, ma alla fine riuscì a guarire e si sposò.

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Toplikar, Mirko

Combattenti minorenni

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Fon, Slavko – Andrej

Slavko prese parte al trasporto dei feriti dell’agosto del 1944.

Era il corriere della XXX divisione e nel gennaio del 1944 fu ferito in battaglia contro i tedeschi presso Lokovec. Rimase in ospedale per molto tempo. All’inizio lo sistemarono nel reparto centrale dell’ospedale Franja, ma a causa di una grave infezione l’indomani fu dislocato a Podnjivč: in quel periodo l’ospedale non possedeva alcun reparto di isolamento. Scongiurato il pericolo, fu condotto nuovamente alla gola. Durante l’evacuazione dell’ospedale dell’aprile del 1944 fu ricoverato nel reparto A a Cerkljanski vrh. Tenne il gesso a una gamba per oltre un mese. In giugno, quando i feriti poterono tornare alla gola, spostarono anche Slavko. Potendo camminare, il tempo trascorse più in fretta. Aiutava a riarrotolare i bendaggi sterilizzati e lavati poiché potessero essere nuovamente usati, e nel tempo libero intagliava pezzi di scacchi. All’inizio di agosto, insieme ad altri feriti gravi ma in grado di reggere un lungo viaggio, fu scelto per essere dislocato negli ospedali alleati nell’Italia meridionale.

Si trattava di un’azione dello stato maggiore delle truppe partigiane e del IX corpo, atta ad evacuare i feriti dall’area controllata dal corpo in Carniola. All’azione presero parte 3000 combattenti. Dall’ospedale Pavla furono evacuati 48 feriti, da Franja 31. Il tragitto da Cerkno si dirigeva verso Želin, attraversava Krnice fino a Vojsko e infine toccava la Selva di Tarnova, Predmeja, Otlica, Col e Podkraj. La parte più pericolosa del viaggio fu l’attraversamento della linea ferroviaria a Ravbarkomanda. Slavko era nel primo gruppo di dieci feriti che attraversarono la linea ferroviaria a cavallo. Il cavallo davanti a lui urtò le rotaie con gli zoccoli e il rumore risuonò. Subito dopo si sentirono gli spari: la ferrovia era sottoposta a un controllo serrato. Fortunatamente, tutto il gruppo riuscì ad attraversare la linea senza essere visto. La destinazione finale del difficile viaggio era l’aeroporto Nadlesk a Loška Dolina, ma al loro arrivo lo trovarono abbandonato a causa degli attacchi: il gruppo fu costretto a continuare il cammino. Con i carri portarono i feriti attraverso Babno polje, Prezid e Čaber fino a Kočevski Rog. All’inizio di settembre riuscirono finalmente a volare dalla Bela Krajina verso Bari.

Nella fotografia: I feriti sul campo di Nadlesk, dove si trovava l’aeroporto partigiano.

Lo sapevate?

Il percorso che porta alla gola Pasice fu aperto nel 1908 dai membri di un Club alpino di Cerkno. La gola veniva visitata come attrazione naturale. Dopo l’occupazione italiana del Litorale sloveno, la gola cadde nel dimenticatoio, finché non vi venne costruito l’ospedale.

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